Con La fine dei vandalismi iniziamo la pubblicazione della Trilogia di Grouse County di Tom Drury, tradotta per noi da Gianni Pannofino. Nell’immaginaria contea di Grouse County Tom Drury “mette in scena l’incanto di un ordinario inseparabile dalla bizzarria”, come ha scritto Giorgio Vasta: lo sceriffo Dan Norman, il malvivente Tiny Darling e la sua quasi ex moglie Louise, torri dell’acqua su cui improbabili band musicali graffitano la parola “Armageddon”, atti di vandalismo compiuti al ballo cittadino organizzato contro i vandalismi. Un’umanità varia, multiforme e imprevedibile in azioni e ragioni, che Drury tratteggia con una scrittura asciutta, profondamente ironica e a tratti malinconica come un dipinto di Edward Hopper.
La fine dei vandalismi è da oggi in tutte le librerie. Noi vi proponiamo le prime pagine, in attesa di farvi conoscere Tom Drury in persona il 23 aprile a Tempo di libri, il primo appuntamento italiano del Tour dei vandalismi (qui date e info).
Buona lettura!
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Quell’autunno, l’iniziativa per la raccolta del sangue si tenne alla stazione dei pompieri di Grafton. Lo sceriffo Dan Norman era lì perlopiù in segno di buona volontà ma, siccome una delle infermiere non si era presentata, aveva acconsentito ad applicare il cotone nell’incavo del braccio dei donatori. «E grazie» diceva.
Era primo pomeriggio quando arrivò Louise Darling. Dan la conosceva appena. C’era con lei anche Tiny Darling, il marito. Dan era convinto che Tiny fosse l’autore di alcuni furti con scasso avvenuti alla Westey’s Farm Home, sulla Highway 18. Non c’erano prove concrete, però.
Louise aveva in testa un foulard rosso. Si tolse la giacca da marinaio per farsi prelevare il sangue. Sotto indossava una maglietta verde scuro con taschino. Dan ammirò i suoi lunghi avambracci bianchi e le premette un quadrato di cotone sulla vena.
«La ringrazio, signora Darling» disse.
Poi toccò a Tiny. Aveva i capelli rossi, e un gufo tatuato sul dorso della mano. «Dovreste mandare questo sangue a Port Gaspar» disse.
«Dove?» domandò Dan.
«A Port Gaspar» ripeté Tiny. «La Marina militare ha venduto un carico di salmone surgelato avariato agli eschimesi, e adesso stanno male. Hanno la setticemia. E indovina che cos’ha fatto la Marina. Ha mandato gli avvocati a minacciare la comunità eschimese».
«Dove si trova Port Gaspar?» domandò Dan.
«Al Polo Sud» rispose Louise. Aveva grandi occhi verdi e lentiggini sbiadite. «Abbiamo sentito la notizia alla radio. Magari non era la Marina militare, ma le navi con cui sono arrivati erano quelle».
«Come osservatori» disse Tiny. «Gli eschimesi hanno viaggiato sui ponti in una piccola sezione tutta loro, delimitata da corde. E ora devono farsi le trasfusioni».
Lo sceriffo Dan Norman lasciò il braccio di Tiny e si rivolse all’infermiera Barbara Jones. «Dove va a finire questo sangue? Tutto al Mercy?».
«Già» rispose lei. «Ma sai cosa ti dico? Una volta una mia cugina di secondo grado si è ammalata di setticemia. È una cosa molto seria. Tu la conosci, Dan: mia cugina Mary».
«Mary Ross» disse Dan.
«Mary Jewell» precisò l’infermiera. «In realtà, era sua madre che si chiamava Ross: Viola Ross. Era cugina di Kenny Ross, che è stato in Corea… be’, quand’era malata non riusciva nemmeno ad attraversare la stanza».
Louise Darling si sistemò la giacca e inclinò la testa da un lato. «Non sono sicura che fossero proprio eschimesi» disse.
«Faceva abbastanza freddo perché fossero eschimesi» disse Tiny. «Gli avvocati hanno detto che se si lamentano ancora vanno a spianargli l’intero villaggio con lo spazzaneve».
«Le loro case sono fatte di neve?» domandò Dan.
«A quanto pare» disse Tiny.
Dan Norman si imbatté in Tiny Darling in occasione di una rissa avvenuta una domenica sera al Lime Bucket. Dan detestava le risse da bar da quando era stato colpito alla schiena con l’impugnatura di una stecca da biliardo, e per tutta l’estate gli era toccato andare da un chiropratico invece di starsene all’aria aperta. Il chiropratico teneva una bottiglia di vodka sopra una grossa cassaforte dietro la scrivania e pretendeva di essere chiamato dottor Jim il Giovane perché, diceva, il suo compianto padre veniva chiamato dottor Jim il Vecchio.
Quella domenica sera, Tiny aveva preso Bob Becker per il cappuccio della felpa rossa e gli stava sbattendo la testa contro le manopole di un biliardino. Dan strinse un braccio intorno al collo di Tiny e lo trascinò fuori. Stava cominciando a cadere la prima neve dell’anno, e la si vedeva scendere obliqua per tutta la strada deserta. Tiny era cosciente ma piuttosto sbronzo. Da quel che Dan era riuscito a capire, la rissa era nata da una discussione sulla carriera di Tanya Tucker, che secondo Bob era finita, mentre Tiny sosteneva il contrario.
A bordo della volante, Dan e Tiny partirono verso sudovest lungo la strada asfaltata di Pinville, diretti alla prigione di Morrisville. Più o meno a metà del tragitto Tiny cercò di colpire Dan, e quest’ultimo dovette accostare, far scendere Tiny, ammanettarlo e caricarlo sul sedile posteriore dell’auto.
«Avevo sempre pensato che fossi un tipo sveglio» disse Dan da dietro la grata «ma a quanto pare mi sbagliavo miseramente».
«Mi si stanno slogando le braccia» disse Tiny.
«Avresti fatto meglio a sbattere la tua, di testa, su quelle manopole» disse Dan.
Seguì un lungo silenzio. «Hai la neve sul cappello» disse Tiny.
Dan rallentò perché un procione stava attraversando la strada. «Sappiamo che sei stato tu a entrare da Westey’s» disse Dan. «Sei stato maldestro con quella porta, a proposito. Ma la questione ormai è chiusa, perché non abbiamo intenzione di incriminare nessuno, perciò non so nemmeno perché l’ho tirata fuori».
Tiny rise. «Quant’è alta questa volante?» domandò. «Mezzo metro scarso?».