di Giulia Tettamanti
La prima volta che Eugenia, l’editore di NN, mi parla del progetto siamo nel soggiorno della redazione, il posto dove si decidono insieme le cose e si fanno le riunioni.
Quando Eugenia mi chiama, e ci vediamo in quella stanza, io porto anche agenda e computer perché so che ci sarà da scrivere, appuntare, memorizzare. Lei è velocissima, io più riflessiva, quando ci troviamo lì ascolto le parole che dice mentre ne delego la memoria a carta e penna.
“È da un po’ di tempo che penso a una cosa. Un corso. Un corso diverso, che insegni la lettura. Ce ne sono tanti sulla scrittura, sulla lettura ancora non l’ha fatto nessuno”.
“Ok…”.
“Sì, in realtà Fabio Cremonesi aveva già buttato giù una bozza, l’anno scorso, ma era presto, e l’abbiamo lasciata lì. Adesso la riprendiamo in mano e, se il progetto ti piace, potresti occupartene tu, coordinarlo, mi sembri la persona giusta per una cosa così”.
“Ok!”.
Sì, ho detto ok, solo ok, perché in quel momento mi sono emozionata e ho capito che, forse, i due lavori che stavo facendo in quel momento potevano intrecciarsi. E l’idea che si intrecciassero non solo mi piaceva, ma era anche qualcosa in più: una speranza ancora inespressa. Lavoro a NN da quando ho fatto qui lo stage, dopo il Master della Fondazione Mondadori, e da qualche anno insegno nelle scuole, nei Licei, quando le scuole mi chiamano per una supplenza.
Eugenia mi ha raccontato il progetto, o almeno quella bozza ancora agli albori, e me ne sono tornata a casa con diversi spunti da sviluppare e tanti libri da leggere. Tra l’ultimo libro letto e il primo nuovo da aprire di Luca Ferrieri era tra quelli: un libro-mondo, nel senso che se inizi a leggerlo ti ritrovi in un mondo un po’ metaletterario e un po’ lunare in cui la lettura e le sue dinamiche si insinuano ovunque, anche nelle cose che non pensavi.
Da quel momento si è innescata una riflessione su doppio binario: da un parte l’esperienza della lettura che crea cortocircuito tra il mondo del libro, il mondo dentro al lettore e il mondo fuori; dall’altra la capacità di questa tensione dentro/fuori di ricostruire la lettura come opportunità di confronto, di servizio culturale e sociale.
Il mio primo pensiero è stato subito che l’idea di “leggere” non sta in piedi senza quella di “raccontare”, a te stesso o a qualcun altro. La lettura crea inevitabilmente una narrazione nuova che va oltre quel che è scritto nel libro. Ho capito cosa intendeva Eugenia, che la lettura è prima di tutto un’esperienza e che la condivisione di queste esperienze diventa una storia a sua volta. Così, la condivisione delle narrazioni doveva essere il punto di partenza perché era anche il punto di raccordo di due binari: il modo di leggere sta cambiando, si legge ovunque e si leggono non solo libri ma tutto un insieme di altre scritture, e tutto finisce nella centrifuga delle narrazioni che poi si intrecciano con quelle che ci cuciamo addosso, le narrazioni di noi stessi.
Insomma, si racconta sempre a qualcuno: a te stesso se leggi in silenzio, a un gruppo di lettori se leggi ad alta voce, a un lettore in una libreria o in una biblioteca se sei un libraio o un bibliotecario, a un pubblico se il libro lo stai presentando, a una comunità virtuale di lettori se ne parli sul tuo blog, a una casa editrice se racconti un testo per valutarlo. In realtà racconti quando leggi e quando scrivi, anche. Come un telefono senza fili, un passaparola prezioso di racconti, da osservare, coordinare e accompagnare.Il progetto è nato così. A partire dai destinatari, da questa terra di mezzo di lettori-narratori che spesso sanno rendere la lettura un ponte per “fare”, per costruire, condividere, per lavorare.
Iniziate le riunioni con Fabio ed Eugenia, abbiamo fatto e rifatto, scritto e riscritto, discusso e ridiscusso, ma subito è arrivata l’esigenza di dare un nome al workshop. Di lavoro, leggo ci è sembrato il nome giusto, lo abbiamo trovato sul sito di Simonetta Bitasi, la lettrice ambulante con cui Fabio ed Eugenia si erano confrontati già l’anno scorso, quando appunto il progetto era in bozza (e forse ve ne racconterà Fabio stesso in un altro post). Lo abbiamo chiamato così, come lei descrive la sua attività. È un nome un po’ sfacciato, per un corso, ma anche un’affermazione orgogliosa, un progetto.
Quando il testo ha preso forma è iniziata la parte divertente: la ricerca dei docenti e del luogo. Questa seconda ha assunto tratti esilaranti con punte di panico tra sopralluoghi improbabili e ancor più improbabili pranzi aziendali. Futuri lettori del corso: avete rischiato di dormire nei lettini di Heidi, di dover camminare tre chilometri prima di trovare la sala delle lezioni, o peggio, avete rischiato di non raggiungere mai la sede del workshop. Invece è andata diversamente e ora ad aspettarvi troverete gli splendidi locali di Villa Mirra a Cavriana (MN).
Ma questo ve lo racconteremo nelle prossime puntate.