Brian Panowich, Bull Mountain – La songbook

Tra Lynyrd Skynyrd, Linda Ronstadt, Janis Joplin, Kid Frost e altri, la colonna sonora delle vite dei fratelli Burroughs attraverso tre generazioni, all’ombra di Bull Mountain; compilata da Alessandro Pestalozza.

David Bowie – Starman – 1972

Citato a pag. 99. “Per una manciata di secondi Gareth ascoltò David Bowie che gorgheggiava Starman in sottofondo e fissò la cornetta quasi si fosse appena trasformata in un pesce morto”. Una delle scene più cinematografiche di tutto il libro, viene introdotta da uno dei brani più affascinanti della storia del pop. Straniante e coinvolgente allo stesso tempo, così come lo sente lontano al telefono Gareth.

Lynyrd Skynyrd – Tuesday’s gone – 1973

Citati a pag. 103. “Tuesday’s gone rimbombò dal jukebox, riempiendo l’attimo di silenzio durante cui il barista studiò Gareth. ‘Well, when this train ends, I’ll try again, but I’m leaving my woman at home’”. Un brano del tipo “struggente” dall’album d’esordio della formazione della Jacksonville che scippò la bandiera del Southern rock dalle mani della Allman Brothers Band. Fu ripreso dai “repubblicani” Metallica nel 1998, e sei anni prima persino dal paladino del white-power inglese Ian Stuart. Perché come i nostri “Jacksonville Jackals”, alla continua ricerca di appigli culturali, l’ultradestra ha fatto di tutto per leggere nelle note scritte con i colori della bandiera confederata un ostentato suprematismo bianco in realtà mai cantato per davvero da questi conservatori e tradizionalisti redneck con zazzera e basette tra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta.

Lynyrd Skynyrd – Gimme three steps – 1973

Citati a pag. 106. “Il barista si concentrò ad ascoltare, quasi temesse di sbagliare risposta. Ronnie Van Zant stava implorando di concedergli Three steps towards the door”. L’attesa giustizialista di uno scontro fisico tra l’omone nero Val e lo “smilzo” Pinky dai baffi enormi passa anche dall’irrisione dell’immaginario musicale (culturale) dei riders sudisti. E al barista che si vanta del “miglior gruppo al mondo di southern rock”, replica spietato Gareth che dice “sembra un branco di ritardati che cerca di chiavarsi un buco della serratura”. E noi siamo tutti d’accordo. Secondo i bene informati questa canzone è ispirata a un fatto realmente accaduto al cantante in un “biker bar” di Jacksonville, dove si trovò una pistola puntata contro da qualcuno che aveva qualcosa in contrario al fatto che lui stesse ballando con una ragazza.

Linda Ronstadt – Silver threads and golden needles – 1973

Citata a pag. 191. Uno dei primi successi dell’allora 27enne cantante di Tucson, tra le più prolifiche, poliedriche, tanto amata quanto meno esportata fuori dagli Stati Uniti. Fili d’argento e aghi d’oro (non possono aggiustare questo mio cuore) è una romantica ballatona country-rock senza particolare lode, ma di cui certamente “va pazzo” “Florida State” Hattie e certamente non dispiace a Angel che nell’ugola della Ronstadt ci si vedeva riflessa.

Big Brother and the Holding Company – Ball and chain – 1967

Citati a pag. 191. Band rock-blues psichedelica dalla California nota più che altro per aver avuto per qualche anno alle sue dipendenze Janis Joplin che, con questa cover eseguita nel 1967 al festival di Monterey, si guadagnò l’amore del pubblico e il riconoscimento della critica che portò alle stelle nei tre anni succesivi fino ad un’overdose di eroina. L’autrice di questo pezzo, la cantante blues Big Mama Thornton, era nata sempre in Texas 17 anni prima di Janis ed era morta 14 anni dopo ma (forse) con meno talento.

Janis Joplin – A woman left lonely – 1971

Citata a pag. 191. Lontana dal Southern Rock così citato nel libro (e vicinissima al Southern Comfort), quella di questa celeberrima insopportabile libertina tossicodipendente e alcolizzata, è una di quelle voci che hanno superato mode, culture e sottoculture della sua generazione. Dal suo ultimo album, un brano non certo famoso come Me & Bobby McGee (pubblicato sul retro dello stesso vinile, Cheap Thrills) ma che potrebbe essere stato scritto per Angel: A woman left lonely, she’s the victim of her man, yes she is”.

38 Special – Hold on loosely – 1981

Citati a pag. 205. “Marion indicò la bruna dall’aria triste che si spogliava aggrappata all’asta in mezzo al palco, sforzandosi di ignorare l’insopportabile pezzo dei 38 Special sparato dagli altoparlanti e sognando di essere altrove”. Chi può dar torto alla povera Marion (“E non chiamarmi Angel”)? Questo è uno dei successi della band intitolata al calibro di un proiettile e fondata sempre a Jacksonville da Donnie Van Zant, fratello di Ronnie dei Lynyrd Skynyrd. Di nuovo Southern sound e sempre più di maniera.

Kid Frost – La Raza – 1989

“Lo scricchiolio della ghiaia mischiato al frastuono della musica mariachi annunciò il ritorno a casa del proprietario della roulotte”. A pagina 221, forse l’agente Holly si è sbagliato perché da buon membro dei Latin Kings, Pepé Ramirez, stava ascoltando a tutto volume questo canzone del maestro Arturo Molina Jr. in arte Kid Frost. Niente mariachi ma quel pancho villa style in anglospagnolo che è il puro rap latino losangelino che celebra la raza unida, augurandosi tra le righe la fine (o l’unione?) di tutte le pandilla latine.

The Band – Up on Cripple Creek – 1969

Citata a pag. 294 “Dopo tre faticose strofe di Up on cripple creek, Clayton si abbandonò di nuovo alla flebo di morfina”. Faticose come ogni singolo di buon rock, che travolge e scorre veloce grazie alla scrittura di un chitarrista e compositore come Robbie Robertson. Se non ti fai prendere dal sound è solo perché ti hanno crivellato di proiettili e l’alcaloide dell’oppio sta facendo il suo dovere.

Bessie Smith – Nobody knows you when you’re down and out – 1929

Un omaggio alla Joplin attraverso il suo mito, la cantante blues-jazz Bessie Smith qui alle prese con un brano composto da James “Jimmy” Cox dal titolo che valeva per lei e non certo per la Joplin.

Eric Church – The Outsider – 2014

Questo brano hard rock del noto cantautore country parte in automatico quando si apre il sito ufficiale della gang di biker “Mongols Mc”. E così mentre riecheggiano strofe tipo

“When we saddle up and ride ‘em in the pouring rain. We’re the junkyard dogs, we’re the alley cats. Keep the wind at our front, and the hell at our back”, si vedono giganteschi e tatuatissimi motociclisti vestiti con i gilet di pelle d’ordinanza. Attenzione non è e non sarà mai come Born to Be Wild degli Steppenwolf (del 1968, finito nella colonna sonora di Easy Rider), né come La Grange dei barbutissimi ZZ Top (1973) e nemmeno come (Don’t Fear) The Reaper dei Blue Oyster Cult (1976) ma piace tanto ai criminali su due ruote. Per completezza di informazione il sito degli Heels Angels Mc World utilizza le percussioni dello strumentale Western Streets di Kevin MacLeod mentre le pagine on line degli Warlocks dedicate ai “fratelli” detenuti nelle prigioni Usa, Country jail blues di Eric Clapton.

 

Johnny Cash – I see a darkness – 1999

Non può mancare alla playlist di un libro come questo la voce del più galeotto dei musicisti, Johnny Cash, il crooner della musica classica americana bianca qui alle prese con un pezzo di Will Oldham in versione Bonnie “Prince” Billy (si sente anche la sua voce). “Well, I hope that someday we have peace in our lives. Together or apart”. Mi piace vincere facile.

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